CRIS
Documento tematico n.5

Il settore delle corporation e il controllo dell’informazione

Una delle più importanti decisioni politiche che una società prende è come controllare il suo sistema mediatico. Controllare significa affrontare le questioni della proprietà, della regolamentazione e delle sovvenzioni pubbliche. La proprietà potrebbe essere fondata su su governi, imprese, organizzazioni non governative o privati, potrebbe assecondare interessi volti al profitto o potrebbe non essere affatto orientata al profitto. La regolamentazione potrebbe essere realizzata dal governo, da agenzie no profit, da partiti politici, dagli utenti dei media e/o della pubblicità. Le ricerche mostrano come, una volta che i modelli di proprietà, regolamentazione, sovvenzione di un sistema mediatico sono stati compresi, non sia difficile capire gli errori e le pressioni esercitate su quello stesso sistema. L’analisi che segue spiega i vincoli imposti ai lavoratori del settore dei media, giornalisti e non, ed esplora l’entità dell’offerta per il pubblico.

Controllare il contenuto dei media
In teoria, una società sviluppa un sistema di controllo dei media che promuova valori condivisi e non trasmetta quelli ad essa estranei. Nelle società autoritarie i capi tengono uno stretto controllo sui media, sia attraverso il loro diretto possesso sia con una ferrea regolamentazione di contenuti. Un marchio di garanzia delle società democratiche è la mancanza di controllo governativo dei media, che sono, per una larga parte, indipendenti dallo Stato. Così, dato che in mercati sempre più liberalizzati diventa normale per i media essere principalmente in mano a forze private, non si presta abbastanza attenzione al fatto che con una scarsa regolamentazione governativa il risultato non può che essere antidemocratico. Questo è particolarmente vero ogni volta che si vengono a generare situazioni di oligopolio, che vengono poste barriere all’entrata di nuovi soggetti nel mercato dei media, ogni volta che lo si rende competitivo, ogni volta che si permette a proprietari di media di usare il loro controllo per avvantaggiare gli interessi politici della classe dominante. Questo è stato recentemente il caso del Venezuela, ad esempio, dove la stampa, solo apparentemente libera, ha attaccato il governo democraticamente eletto del populista Hugo Chavez con una ferocia ed una volontà di mentire che avrebbero fatto vergognare gli editori prezzolati della Pravda di Stalin.

Non c’è nulla di naturale nel gestire privatamente i media, non più di quando vi sia nella gestione pubblica. Anche una società capitalistica può decidere di avere un sistema mediatico prevalentemente non commerciale. Tutti i sistemi mediatici sono il risultato di politiche di governo dirette o indirette. Nel caso della diffusione radio e televisiva, via cavo o via satellite, il ruolo delle politiche governative è esplicito ed evidente. Quando un governo mette in vendita privilegi monopolistici in un ambito ristretto, non sta certo stabilendo i termini per una competizione, anzi, sta avvantaggiando i vincitori della competizione stessa. Ma le politiche governative sono fondamentali anche negli altri settori dei media. Il diritto di riproduzione, ad esempio, che sta alla base delle pubblicazioni librarie, così come dell’industria dei film e della musica, è garantito dal governo e rafforza le politiche di oligopolio. Un altro esempio, è il primo emendamento della costituzione degli Stati Uniti, che garantisce ai giornalisti privilegi che nessuna altra categoria lavorativa ha. Più esplicitamente, il controllo governativo sulle grandi industrie e sulla legittimità dei profitti dovrebbe essere il punto di partenza di un moderno sistema commerciale di media. Come ci dimostra la storia, non c’è nulla di naturale in questi sviluppi.

Che tipo di regolamentazione, proprietà e sovvenzioni?
Un paradosso che si riscontra nei dibattiti sulle politiche dei media ed è l’uso dei termini “libero mercato” da parte dei dirigenti dei media per descrivere i loro affari e la loro filosofia politica. Spesso il termine libero mercato è proposto come alternativa a “regolamentazione governativa”. Questo è più che altro un artificio retorico e propagandistico, senza alcuna base credibile. Il mercato dei media non è affatto libero nel senso economico del termine. Molto spesso si tratta di mercati oligopolistici all’interno dei quali i governi hanno un ruolo chiave nell’avvantaggiare i giocatori più grandi e nel dare sovvenzioni, come pure nel definire le regole del gioco. Quando gli amministratori delegati delle imprese di comunicazione si lamentavano della “regolamentazione governativa”, non si lamentavano di certo per la concessione del diritto di monopolio per l’etere. Quell’aspetto della regolamentazione governativa è per lo più gradito ed atteso e non vorrebbero mai vederlo terminare. Il tipo di regolamentazione governativa che non piace affatto ai dirigenti delle società dei media è la regolamentazione che riflette l’interesse della popolazione in generale piuttosto che il loro interesse privato. Così la contrapposizione non è mai fra libero mercato e regolamentazione, ma piuttosto sulle questioni relative al tipo di regolamentazione, al tipo di proprietà e al tipo di sovvenzioni.

Il bisogno del dibattito pubblico
Seguendo questa logica, è un imperativo che il dibattito sulle politiche dei media sia pubblico, forte ed esteso. Questo dibattito dovrebbe costruire una parte significativa della cultura politica di una sana democrazia. Più la partecipazione pubblica sarà aperta ed informata, più cresceranno le probabilità che le politiche risultanti siano davvero utili, più cresceranno valori democratici. Ad un livello nazionale, le questioni sui media hanno ricevuto attenzione diversa da nazione a nazione. Proviamo a formulare due regole generali. Prima di tutto, più è genuina la democrazia politica più sarà probabile che ci sia un dibattito pubblico ed un interesse sulle politiche dei mezzi di comunicazione. In secondo luogo, gli interessi dominanti nelle industrie dei media, specialmente gli interessi delle società private, non danno alcun incentivo a questo dibattito. Questi dirigenti preferiscono che il pubblico creda che il sistema dei media sia il naturale dominio delle grandi imprese. In una nazione come gli Stati Uniti, ad esempio, la combinazione tra una democrazia debole e media privati estremamente potenti ha fatto sì che le politiche sui media siano state sviluppate in modo assai poco democratico. Inoltre, la pubblica partecipazione nei dibattiti sulla politica dei media è resa ancor più difficile dal momento che i media stessi non si occupano per nulla della questione.

Con l’emergere di una globale economia di mercato, i problemi relativi alle politiche dei media diventano ancora più preoccupanti. Il settore dei media è diventato un’area importantissima per l’investimento capitalistico e una componente centrale della “globalizzazione”, intesa sia economicamente che ideologicamente. Mano a mano che l’importanza dei media è cresciuta, la definizione delle politiche relative è stata relegata in luoghi come l’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) o l’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (WIPO), che sono esplicitamente concepiti per essere depositari degli interessi delle élites. Per questo, per coloro che sono interessati a promuovere una sana e forte società è cruciale stimolare un processo di formulazione di politiche sui media che sia democratico, così da fare in modo che il sistema risultante assecondi gli interessi della maggioranza della popolazione e non solo quelli dei potenti proprietari, delle corporations e dei loro amici.

Letture Consigliate:
- Robert W. McChesney, Rich Media, Poor Democracy: Communication Politics in Dubious Times (New York, The New Press, 2000)
- Georgette Wang, Jan Servaes & Anura Goonasekera (eds.) The new communications landscapes. Demystifying media globalization (London: Routledge, 2000)