Guerra preventiva e guerra umanitaria
Particolare attenzione è stata riservata al dibattito giuridico internazionale sorto negli ultimi anni sulla definizione e liceità di guerra preventiva.
Questo tipo di conflitto, secondo una parte della dottrina, dovrebbe rientrare in quanto previsto dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, attraverso una sua interpretazione estensiva.
I fautori di tale tesi argomentano che sarebbe impossibile e assurdo ammettere che uno Stato debba attendere di essere attaccato da un altro, essendo sicuro che tale attacco verrà compiuto. Ma, in vero, appare più giusto sostenere che le azioni in legittima difesa preventiva, di fronte ad una lacuna di diritto dovrebbero essere qualificate piuttosto come illecito internazionale.
Non esiste infatti alcuna norma che esplicitamente legittimi l’uso "preventivo" della forza armata: l’articolo 51 disciplina solo l’uso della forza armata in caso di attacco armato in atto.
Altrettanto si può dire per quanto concerne l’illegittimità della cosiddetta guerra umanitaria.
Questa definizione è stata usata per la prima volta per indicare l’intervento della NATO in Kosovo nel 1999, e con essa si indica l’azione armata unilaterale che gli Stati attuano di fronte a gravi violazioni di diritti umani.
L’ingerenza umanitaria deve sottostare a determinati principi: primo fra tutti, la presenza di una giusta causa che giustifichi l’utilizzo della forza; in secondo luogo, la proporzionalità dell’azione in risposta e, infine, il tempestivo intervento del Consiglio di Sicurezza dell'ONU.
Un conflitto di questo tipo, pur non essendo, nella prassi, espressamente vietato, deve essere, tuttavia - in presenza di un vuoto normativo - considerato un illecito internazionale. Esso è infatti contrario al divieto dell’uso della forza (principio di ius cogens) nonché al capitolo VII della Carta dell'Onu e agli Statuti della NATO.
Allegati
- Affrontare il dilemma dell'intervento (4 Kb - Formato htm)Estratto dal Millennium Report di Kofi Annan (2000)