Tecnologia non vuol dire conoscenza
Dentro il tendone del Wsis c'è aria di festa, fuori un po' meno. Come in ogni summit internazionale c'è tutto un popolo colorato che sciama fra gli stand e poi si siede a discutere per cercare soluzioni a problemi comuni. L'organizzazione è perfetta, la gentilezza dei tunisini proverbiale, il cibo ottimo. Le parole d'ordine nei locali del summit sono «condivisione, inclusione, partecipazione», anche se a scriverle in caratteri cubitali sono proprio quelle aziende che, dall'esclusione dei benefici della società dell'informazione e dalla scarsità indotta dei beni che produce, hanno finora ricavato i profitti maggiori. Certo, si tratta di un summit dell'Onu, dove può sbucare un brasiliano e dirti che un software proprietario gli costa come 50 sacchi di riso, e per questo scelgono il software libero, un posto in cui dire a un africano che si sta brevettando un metodo di cura sull'Aids, o un sistema di e-learning, suona come un insulto. L'inversione di tendenza però c'è e si nota. In parte perché non sono certo le misure di polizia che possono arrestare la diffusione della conoscenza nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, un po' perché se la partita è giocata con astuzia si può passare all'altro schieramento, quello della libera condivisione. C'è tutto un mercato lì fuori, anche se bisogna cambiare modello di business e imparare a farsi pagare il servizio e non il prodotto.
Al summit l'Unesco ha appena rilasciato un documento intitolato: «Dalla società dell'informazione alla società della conoscenza», affermando che quando si parla di cultura, libertà e democrazia non è mai solo la tecnologia a fare la differenza, e che la libertà di espressione e di ricerca, come il pluralismo nei media, sono condizioni necessarie per l'emergenza di società basate sulla conoscenza, in cui ogni comunità ha la responsabilità di sviluppare saperi locali e proteggere quelle tradizionali, condividendoli. Una posizione che sintetizza il problema dei «contenuti» della società dell'informazione e che lentamente emerge nei singoli incontri. Infatti, se anche Negroponte ha lanciato il suo pc da 100 dollari, sono in molti a ritenere che la soluzione al divario digitale non sia quella di avere più tecnologia fra le mani, ma le competenze per usarla e la disponibilità dei contenuti. E tuttavia la questione del copyright e dei brevetti sono virtualmente assenti nel summit se non fosse per alcuni eventi paralleli tenuti da organizzazioni come Ip Justice e poche altre. Decisamente interessati a questi aspetti sono i delegati della società civile. Italiani, canadesi, francesi, brasiliani che alla Fondazione Orestiadi hanno creato un meeting point all'insegna del progetto di Michelangelo Pistoletto «Love difference», amare le differenze, un progetto artistico, di comunicazione, orientato alla trasformazione sociale responsabile. Dopo avere ospitato Gilberto Gil, Achille Bonito Oliva e Fiorello Cortiana per una discussione sul valore dello scambio, della relazione e della reciprocità, questa sera verrà premiato Richard Stallman per la sua instancabile opera di cambiamento sociale offrendogli un gelato con ricetta libera e copiabile. E comunque anche gli interventi di ministri e capi di stato hanno rimarcato tre questioni: per parlare di una società dell'informazione inclusiva e giusta è necessario poter accedere a un'informazione non controllata; libertà d'informazione non significa da sola libertà di conoscenza, ma la base per costruirla, e che la diffusione dei pc nei sobborghi urbani e nei paesi in via di sviluppo non si traduce in maggiore cultura, opportunità e benessere se le persone non possono accedere all'istruzione di base e a una formazione di qualità. Insieme a medicine, acqua e cibo, aggiungiamo noi.
Dicevamo che fuori dal summit l'aria è un po' pesante. La Tunisia, si sa, non è un campione di democrazia, e per questo Kofi Annan è stato incalzato in conferenza stampa sulla questione dei diritti umani e la libertà d'espressione nel paese ospite. Però non si può buttare via il bambino con l'acqua sporca. Intanto nell'apertura del summit, pur con un linguaggio diplomatico, il presidente elvetico Samuel Schmid ha spazzato via ogni ipocrisia chiarendo che il Wsis sarà un successo solo se chiunque potrà parlare senza censure e che non si può parlare di società dell'informazione se ci sono degli stati che impediscono ai propri cittadini di esercitare il diritto all'espressione e alla critica. Una dichiarazione di principio che nel contesto tunisino assumeva un valore diverso, soprattutto dopo l'aggressione al giornalista di Libération Cristophe Boltansky, i tafferugli fra polizia e società civile, la notizia dello sciopero della fame di magistrati e giornalisti tunisini per la libertà di stampa e di associazione, l'oscuramento di siti e blog dissidenti che hanno fatto il giro del mondo. La buona notizia è però che da ieri mattina sono tornati raggiungibili i siti italiani con la petizione per la liberazione degli internauti di Zarzis www.ilsecolodellarete.it/zarzis e che finalmente presso la Lega tunisina dei diritti umani c'è stato il primo, atteso incontro del Citizen's summit www.citizens-summit.org. Un piccolo, ma importante controforum di 200 delegati che ha ribadito la richiesta di riforme e democrazia nel paese di Ben Alì.