CRIS

Se vuoi il dominio, non usare filtri

Con il vertice di Tunisi si è posto il problema della libertà sul web
20 novembre 2005 - Franco Carlini
Fonte: Il Manifesto - http://www.ilmanifesto.it

Questo giornale l'ha raccontato molto bene (un motivo in più per abbonarsi): a Tunisi il Summit mondiale sulla società dell'informazione ha trattato tre questioni e tutte e tre in maniera deludente. La più negletta è stata quella degli aiuti allo sviluppo digitali ai paesi che appunto allo sviluppo appena si affacciano. Era una promessa fatta al G8 di Genova e di cui molto si vantarono Berlusconi e il ministro dell'innovazione Lucio Stanca e che è stato riproposto dal presidente del Senegal, Abdoulaye Wade. Ma il Digital Solidarity Fund, lanciato nel 2003 ha raccolto finora la miseria di 7 milioni di euro. Vi aderiscono 22 paesi dei quali solo uno, la Francia, non è africano. La seconda questione era quella delle regole e delle istituzioni che governano l'internet. Gli Stati Uniti hanno tenuto duro sul fatto che non l'Onu, ma la società non Icann rimanesse in carica nella attribuzione dei nomi di dominio e soprattutto degli indirizzi numerici della rete, continuando a controllare i 13 root server che fanno da elenco mondiale degli indirizzi. Ci sono riusciti puntando sulla legittima diffidenza verso le burocrazie delle Nazioni unite e sulla giusta necessità di tenere lontano le tecniche dall'ingerenza degli stati e dei politici. Ottimo. Ma quel sano principio non dovrebbe implicare necessariamente che Icann dipenda dal Dipartimento del Commercio americano e quanto a burocrazia, chiunque abbia frequentato Icann avrà avuto modo di notare quanto ne sia impregnata. Quantomeno è da riformare profondamente, ma chissà quando.

Va anche ricordato che non è soltanto in discussione quali siano i nomi dei siti internet e quali le categorie globali (com, org, net, info eccetera). La vera questione calda, per niente trattata è la scarsità di indirizzi. Questi sono fatti di 4 numeri che possono andare da 0 a 255. Dunque gli indirizzi numerici possibili sono 256x256x256x256, ovvero un po' più di 4 miliardi, distribuiti in maniera ineguale e ormai insufficienti (gli abitanti del pianeta sono più di sei miliardi). Una decisione già presa prevede di passare a una numerazione più ricca (la IPv6), ma nessuno riesce a sbloccare la situazione e si tiene fuori chi vorrebbe entrare in rete.

La terza questione è quella dell'internet come luogo della libertà. Come ha scritto con chiarezza Arturo di Corinto su questo giornale, i proclami sono stati alti e persino gli Stati Uniti hanno protestato contro il governo tunisino, specializzato nel negare accesso alla rete ai suoi cittadini. Il più netto è stato il presidente svizzero Samuel Schmid, egli stesso vittima di censura, dato che il suo saluto ai partecipanti è stato oscurato dalla televisione di stato. Per parte sua l'organizzazione Open Net Initiative ha verificato che durante il Summit il 10% dei 2 mila siti da lei monitorati risultavano inaccessibili in Tunisia. Ma il regime di Ben Alì non è certo il solo: Cina, Iran, Brma, molti paesi arabi fanno lo stesso, avendo piazzato ai loro confini di rete dei robusti filtri (i «firewall», barriere taglia fuoco) per negare la lettura delle notizie dal mondo, persino quelle della Bbc o della Cnn.

La soluzione ci sarebbe: gli Usa che l'Icann controllano e che intendono diffondere la libertà di espressione nel mondo, potrebbero decidere che «i domini nazionali sono assegnati solo agli stati che non erigono barriere alla circolazione delle informazioni globali». Se essere in rete porta dei vantaggi a ogni paese, aderirvi deve comportare obblighi di rete e cioè di apertura. Chi non lo vuol fare, se ne stia fuori, isolato dal mondo. Anche le verifiche tecniche sono facili, a differenza dei controlli dell'agenzia atomica che deve ispezionare i siti nucleari. Chi vuole sviluppare una certa tecnologia deve accettarne le regole: pace e non bombe, frontiere digitali aperte e non barriere filtranti.