Al summit Onu grandi affari e grandi fratelli
A Tunisi si è chiuso ieri il summit mondiale sulla società dell'Informazione. Nokia e Alcatel promettono di offrire «connettività a un miliardo di persone entro il 2015», si è dato vita ad una nuova Task Force per l'e-government in America Latina e Caraibi tra la Banca Inter-Americana di Sviluppo, il Dipartimento per gli Affari Economico-Sociali delle Nazioni Unite e la Banca Mondiale. La Microsoft, infine, ha annunciato che insieme a WISekey e la Fondazione Oiste ridurrà «il divario della nuova identificazione digitale provvedendo ad una infrastruttura che creerà una comunità di 20 milioni di utenti certificati».
Il Summit si conclude con grossi accordi fra Banca Mondiale e istituzioni multilaterali sulla sicurezza e controllo, ma sono stati disattesi i due argomenti chiave: internet governance e il finanziamento del digital divide. L'Onu ha creato l'Internet Governance Forum, ennesimo forum di dialogo permanente per rimandare lo scontro sul controllo dei domini, e per la sua gestione passa la palla all'International Telecommunication Union. L'agenzia delle Nazioni Unite con base a Ginevra ha come primo obiettivo la regolamentazione di tutti protocolli dal Dsl (digital subscriber line) fino alla video conferenza, senza però avere una responsabilità reale su Internet.
Una condizione molto comoda per le corporations statunitensi e il governo Usa, che possono così continuare la politica unilaterale sul controllo della rete.
L'altro grande appuntamento annunciato qui a Tunisi sarà il Geneva World Security Forum che chiude il cerchio con sorprendendente continuità. Si torna a Ginevra dove il Wsis è cominciato nel dicembre 2003 ma non più per parlare di società dell'informazione ma di sicurezza ed identificazione globale: il forum del grande fratello. Le dichiarazioni di Brunson McKinley, Direttore generale dell'Organizzazione Internazionale per la Migrazione, chiariscono le implicazioni finanziarie e di controllo dei flussi migratori e della forza lavoro: «Rendere sicure le transazioni digitali tra migranti, governi e altri fornitori di servizi favorirà un passo avanti nella sicurezza dell'informazione rendendo possibile l'implementazione di iniziative di menagement delle rimesse, per aiutare i paesi in via di sviluppo a combattere la povertà».
Il riferimento a «management delle migrazioni» evoca l'immagine del Mediterraneo ridotto ad un enorme cimitero e l'identificazione digitale è un nuovo modello di controllo e discriminazione. Secondo le aziende e le organizzazioni multilaterali il Wsis è solo l'inizio di un cammino glorioso verso lo sviluppo e la sicurezza, dimenticando che le tecnologie in realtà sono solo uno strumento.
Ma gli interessi economici nel loro uso non sembrano andare alla ricerca di una strategia di sviluppo sensibile alle diversità delle economie locali. In quasi tutti gli incontri tenuti al Wsis si è affrontato il divario digitale in termini di «accesso all'informazione» trascurando le reali trasformazioni sociali portate dalle nuove tecnologie. L'argomento viene banalizzato al pari della fame nel mondo: molta retorica che si scontra con l'impossibilità di affrontare problemi più complessi. Richard Stalmann, fondatore della Free Software Foundation, intervenendo ad uno degli incontri più seguiti della giornata, organizzato dall'Undp, sul free e open software come migliore soluzione per lo sviluppo, ci ricorda che il problema dello sviluppo e del software aperto «è una questione di diritti umani e non economica. Le tecnologie proprietarie sono un problema sociale. Le aziende hanno il controllo delle tecnologie e decidono come usarle, impedendo la condivisione della conoscenza che è essenziale per lo sviluppo della società».
Nello stesso incontro, Mark Shuttelworth, fondatore di Ubuntu (sistema operativo basato su linux), ha messo l'accento sul fatto che «bisogna costruire strumenti open source utilizzabili dalle comunità, per favorire autorganizzazione e sviluppo locale». La società civile dopo 4 giorni di intense riunioni, ha prodotto una dichiarazione finale molto dura rispetto all'inconcludenza di questo summit che ha trascurato la ricerca di nuovi meccanismi di finanziamento per lo sviluppo. «Devono essere mobilitati fondi a tutti i livelli, cercando di bilanciare l'orientamento pro-mercato dei documenti ufficiali» così si legge nella loro dichiarazione finale. Le critiche vanno al di là dei finanziamenti: «Il processo multistakeholder si è rivelato fallimentare. Qui a Tunisi si sono creati nuovi livelli di intermediazione tra stati, aziende e Ong. Ma i rappresentanti delle Ong non hanno alcuna aderenza con i movimenti sociali, sopravvivono solo le organizzazioni che riescono ad accaparrasi i fondi per proseguire questi infiniti e inconcludenti forum» accusa Sasha Costanza-Chock di Indymedia Los Angeles. «Le politiche globali vengono decise dal Wto e dal Wipo (l'organizzazione mondiale sulla proprietà intellettuale) mentre il Wsis non ha alcun potere decisionale. L'agenda dell'Onu coincide sempre di più con quella delle aziende. Le multinazionali farmaceutiche possono cosi continuare a imporre brevetti e l'industria culturale può continuare ad attaccare la produzione creativa collettiva ed a precarizzare i lavoratori della conoscenza».
L'esclusione della società civile è stato un problema denunciato da moltissime parti fin dall'inizio del summit. In particolare l'esclusione della società civile tunisina che non essendo riconosciuta, non ha potuto neanche accreditarsi. Nell'ultimo giorno le critiche al regime di Ben Ali sono state molto forti ed alcune inaspettate. Questi «attacchi alla libertà di espressione delle organizzazioni non governative e dei mezzi di informazione sono inaccettabili», ha detto il presidente del Parlamento europeo Josep Borrell, mentre la delegazione statunitense ha espresso «il proprio disappunto perché il governo tunisino non ha approfittato del summit per dimostrare il proprio impegno nel rispettare la libertà di espressione e associazione in Tunisia».
Shirin Ebadi, premio nobel iraniano per la pace, che in questi giorni ha sempre appoggiato la protesta, ha riportato la notizia dell'interruzione dello sciopero della fame da parte delle organizzazioni di avvocati e giornalisti tunisini in digiuno da più di un mese. Ebadi ha anche proposto la creazione di un organismo per la lotta contro la censura e la repressione dei cyberdissidenti sotto l'egida dell'Onu. Sicuramente, nonostante il supporto internazionale, per gli attivisti dei diritti umani sarà difficile tornare alla vita di tutti i giorni qui in Tunsia dove, fuori dai riflettori i diritti umani sono negati e la partecipazione alla vita politica vietata.